home    crediti    contatti


CHI SONO

La cosa più semplice per parlare di Vittorio Papa sarebbe quella di parlare del terribile incidente che gli ha spezzato la vita a 28 anni, delle innumerevoli  difficoltà che ha  dovuto superare e di quelle che deve ancora affrontare, delle possibilità che offre la pittura  ad una  persona  che non può più vivere una vita “normale”. Parlarne in questi termini però non gli farebbe giustizia.  Significherebbe non riconoscere il vero  valore  delle sue  opere, ritenere  che  la  loro  qualità  non  sia sufficiente di per se a giustificarne l’esistenza.  Invece gli acquerelli di Papa  sono  un’esperienza  emozionante , sono un incontro ricco di
sensazioni  diverse.   Ad  un  primo  sguardo  il suo  è un mondo  colorato,  leggero,  quasi infantile,  ci restituisce  allegria, levità.  E’ il suo modo delicato di introdurci a temi molto più profondi.  Sotto quella miriade di forme, sfumature, di figure stilizzate, si nasconde la sua storie, le sue difficoltà. Non c’è però autocommiserazione, c’è solo il racconto in tutti i suoi aspetti,  anche quelli più scabrosi, della sua vita così com’è.  Solo  in  questa  prospettiva  appare  utile  descrivere  la sua malattia, in quella cioè che ci permette di penetrare più a fondo il suo lavoro e di comprenderlo e giudicarlo nella sua complessità.
La  scelta  del  mezzo   pittorico  ci  da  già   qualche  informazione.    L’acquerello  è  una  pittura  dalle caratteristiche  molto  peculiari.   E’ rapida,  trasparente,  immediata  e  non  ammette  ripensamenti.
Dietro un’apparente semplicità,  dietro quello che sembra essere  il fondersi  casuale dei  colori, c’è un gesto  rapido,  preciso,  estremamente   consapevole.   E  un  mezzo  adatto  quindi  ad  esprimere  con immediatezza tutte quelle emozioni impossibili da raccontare , quelle  impressioni,  positive e negative,
che continuamente  ci  investono e che  solo in alcuni casi riusciamo ad esprimere agli altri come a noi stessi.  Un mezzo prezioso quindi per chi ha un oggettivo difetto di comunicazione come Vittorio.
La prima cosa che ci colpisce nell’osservare le sue opere sono i colori.  Mille sfumature che si fondono senza che mai quest’incontro  sembri inappropriato.  Un tripudio di luci, un inno alla vita di chi , questa vita,  se la  riprende  ogni  giorno  strappandola  con  i  denti.   Un’esistenza  senza incertezza,  piena di incomprensibili  contraddizioni,  eppure  armoniosa,  delicata,  con  un  significato,  anche  dove risulta
molto difficile trovarlo. In quest’arcobaleno ecco che spuntano i personaggi che popolano le sue opere. Strane figure, o soltanto pezzi di esse sia umane che animali.  Sono  le  loro  estremità che dominano la scena.  Si trasformano,  si allungano,  si deformano.  Vittorio  ci  parla di se, dalla sua vita, ci parla della
sua emiplegia, la sublima e ci insegna che non è soltanto de-formazione ma anche tra-sformazione.
Che la privazione  non  è  solo una strada che ci viene preclusa, che ci rende inadeguati, ma è pure una trasfigurazione  in  qualcosa  di  diverso e non  per questo incompleto. 
Tutto questo ce lo racconta con grande chiarezza, senza fronzoli.
E come se la propensione artistica a sublimare i contenuti della propria esistenza fosse amplificata dal disagio che vive.   E’  capace  di   parlare  direttamente  al  nostro  inconscio,  ci  dice  tutto  di se senza sovrastrutture,  ci  fa  sapere  qual è la sua condizione,  ma  anche  quella della esistenza umana, senza metterci paura, portandoci per mano per renderci forse un po’ più consapevoli.